DEL NUTRIRSI E DI ALTRE STORIE

Più che mangiare, siamo mangiati dal cibo che ci impongono

E. GALEANO

Sono vegetariana da 30 anni, recentemente sono ritornata al mio primo amore, la macrobiotica. I principi della dieta macrobiotica sono semplici, Gianni, un caro amico che mi insegnò le basi trent’anni fa’, li riassumeva in questi semplici punti: il pasto deve essere composto da un cereale integrale, meglio in chicco, un legume (poco) e verdura di stagione. Quando fa freddo o si è deboli, tutto va cotto, anche la verdura e la frutta ed il metodo di cottura influenza l’energia del cibo e, di conseguenza, l’energia della persona. Ci sono poi alimenti da introdurre, come le alghe ed i fermentati, ed alimenti da eliminare ma per iniziare queste semplici regole sono sufficienti. Il mio pasto è semplice, quasi completamente senza sale, fatto salvo quello contenuto nel gomasio autoprodotto. Niente caffè, alcool non lo bevo da anni, niente dolci, frutta solo al mattino. Il pasto è essenziale, mangio solo se ho fame, mangio per nutrirmi provando a coltivare una sensibilità che rispetti sia il cibo che me stessa, il mio corpo.

Siamo culturalmente condizionati a considerare la rinuncia come un disvalore, una mancanza, un furto. L’idea di rinunciare al “piacere” del cibo viene associata ad una sorta di tendenza autolesionistica, spesso ideologica e fanatica. Chi pensa a nutrirsi invece che a mangiare cose “buone” viene guardato con sospetto, se gli va bene, o considerato un ortoressico, se gli va meno bene. Ma cos’è questo “piacere”? Siamo immersi nella pornografia sensoriale, condizionati da ciò che ci dicono sia buono, abituati ad ingurgitare zucchero, sale, sapori forti, complessi, carne, sapori pesanti, marcati, spesso combinati (quel vino con quel cibo… no, ragazzi… no…) siamo drogati e dipendenti. Non mi credete? State senza zucchero (senza NESSUN zucchero), o senza caffè per qualche giorno e sentite il nervosismo che avanza. E cos’è “buono”? Buono un cibo che ci metto ore a digerirlo? Buono l’alcool? Ho una struttura psichica che tende a ridurre al necessario tutto ciò che mi anima. Barcollo tra infinite informazioni, leggo libri, elaboro pensieri ma sento poi la necessità di scremare ed arrivare ad una sorta di minimalismo, spesso fortemente connotato esteticamente. Così sono ritornata ancora al cibo antico. E qui la rinuncia si è rivelata una conquista: il minimalismo dei piatti una scoperta, anche a livello energetico, che davvero non mi aspettavo. Il cibo è qualcosa di nobile ed è una delle fonti di nutrimento: l’aria è la prima fonte, l’acqua la seconda. Il cibo viene per terzo: puoi stare senza respirare qualche minuto, senza bere qualche giorno, senza mangiare 40 giorni. E poi, anzi prima, viene la qualità: non è bene respirare aria inquinata, i cui parametri chimici siano alterati, stesso discorso per l’acqua, sul cibo invece poniamo scarsa attenzione e mangiamo abitualmente cose che non ci nutrono, al massimo ci saziano o ottundono i nostri sensi. Non è un cavillo, una distinzione inutile: il corpo ha la necessità di essere nutrito, non ottuso, non saziato. Il cibo ha sapori propri, una mela, un pugno di riso o di miglio sono di per sè complessi e schiudono infiniti sapori come le note di un profumo: ci vuole un naso preparato e sensibile per comprendere un profumo di nicchia e ci vuole un palato allenato e sensibile per scoprire le sfumature del riso integrale, gli amidi che si trasformano mescolandosi alla saliva, che cambiano sapore, che entrano in circolo prima di arrivare nell’intestino. C’è una semplicità che è invero complessa e troppo raffinata per essere compresa se mangi cose “normali”. C’è un rumore mostruoso nei piatti degli chef, nella cucina elaborata, dove l’enfasi sovrasta la materia prima e la snatura e c’è un incredibile silenzio nelle verdure al vapore senza sale. Si tratte, per me, di andare a fondo, io che già da 30 anni non mangio “normalmente” e mi nutro in modo molto semplice. Scremare ancora, raffinare e nutrirsi come non facevo da tantissimo tempo. Andare a fondo, allenare l’attenzione al dettaglio, allenare l’ascolto, restare attenta e presente all’azione del nutrirsi. La mia tendenza a ridurre è diventata una cosa buona.

Qualcuno mi disse “tu distruggi tutto, perchè vuoi vedere cosa resta in piedi, devasti, sei la morte e vuoi vedere cosa sopravvive”. Non aveva sbagliato di molto. È difficile avere a che fare con qualcuno che si entusiasma per una ciotola di riso integrale stracotto.

Pubblicato da zunyapala

"Esiste una stanchezza dell'intelligenza astratta, che è la più spaventosa delle stanchezze. Non pesa come la stanchezza del corpo, né inquieta come la stanchezza della conoscenza emotiva. È un peso della coscienza del Mondo, un non poter respirare con l'Anima." F. Pessoa

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...