
Abba Magister insegna ai bambini del villaggio l’utilità delle piante.
r. kern – arguzie e facezie dei padri del deserto
-Qual è, domanda al termine della lezione, la pianta più utile?
Risponde un ragazzino:
– La pianta del piede.
Tādāsana non è Tādāsana senza Samasthiti
Laddove Tādāsana indica una posizione (tāda=montagna asana=posizione), samasthiti (sama=pari, verticale, diritto, equo sthiti=stabilire, stare) indica un atteggiamento, ossia l’attenzione che si deve rivolgere per mantenere la posizione stessa diritta, in equilibrio e bilanciata.
Tecnicamente (e, direi, “idealmente”) la posizione prevede lo stare in piedi, con i piedi uniti, la colonna vertebrale diritta e stabile (se le curve vertebrali sono rispettate, la settima vertebra cervicale si posiziona “a piombo” rispetto alla quinta vertebra lombare), il mento leggermente abbassato per liberare ed allungare verso l’alto le prime vertebre cervicali, il torace aperto, le spalle rilassate e le braccia lungo i fianchi (il palmo delle mani è disteso e rivolto verso le gambe)
Quando si “entra” in Tādāsana è consigliabile portare innanzitutto l’attenzione al luogo sul quale la posizione poggia, cioè i piedi.
Il piede è una struttura alquanto complessa (in cui sono presenti 26 ossa, 33 articolazioni e più di un centinaio di muscoli, tendini e legamenti) che ci permette sia la locomozione che lo “stare fermi” in piedi e sulla quale viene distribuito l’intero peso del nostro corpo. La pianta del piede è connessa, attraverso la fascia (per una introduzione agli aspetti e alle funzioni della fascia e delle catene muscolari rimando ad un prossimo post), alla muscolatura che sorregge ed è responsabile dei movimenti della colonna vertebrale ed ha quindi un ruolo molto importante nel mantenere la verticalità della colonna stessa.
Quando “stiamo” in piedi in Tādāsana, il Samasthiti ci rivelerà il dinamismo e gli assestamenti continui della muscolatura plantare, dorsale, laterale del piede e della caviglia, movimenti necessari al mantenimento della stabilità della posizione. Paradossalmente, è attraverso il dinamismo che è possibile una certa stabilità. Possiamo procedere nell’esplorare la posizione dai piedi a salire, provando a “sentire” i settori corporei e la dinamica che in ogni luogo del corpo si instaura tra tensione e movimento. Questo atteggiamento è a parer mio molto utile quando ci si approccia in modo pedagogico alla posizione, direi che è strumentale, quindi da “utilizzare” senza fissarsi troppo.
Il ruolo dei piedi viene spesso trascurato e si tende a focalizzare immediatamente l’attenzione sulla verticalizzazione della colonna. Ma spesso le tensioni a carico della colonna derivano proprio da una struttura plantare debole (basti pensare che l’uso costante delle scarpe inibisce fino al 70% la funzionalità della muscolatura dei piedi, per non parlare del danno recato dall’uso dei tacchi alti).
Inoltre simbolicamente lo “stare in piedi sui propri piedi” suggerisce contemporaneamente l’acquisizione di una certa forza, sicurezza ed autonomia, qualità importantissime nella pratica dello yoga.
Un consiglio ulteriore per raffinare l’ascolto in Tādāsana è quello di camminare il più possibile scalzi, magari su superfici naturali e dissestate, in modo da riacquisire una maggiore tonicità e sensibilità.